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VISITA GUIDATA

Durata della visita: 1 ora

La chiesa sorge nell’area dell’antico orto del convento dei Serviti. La zona era periferica per l’antica Reggio, era l’oltretorrente, diremmo oggi, poiché era al di là del letto originario del Crostolo, che con la sua ghiaia diede poi il nome all’immagine miracolosa. Sul muro di cinta dell’orto, entro un’edicola,  vi era una Madonna, ormai sbiadita dal tempo. Allora nel 1573 Alfonso Pratissoli, un patrizio reggiano che abitava nei pressi, la fece ridipingere, usando un disegno originale che aveva avuto da Lelio Orsi. 

Sull’immagine, quella che oggi vediamo all’interno della chiesa,  lo stesso Orsi aveva posto l’iscrizione: Quem genuit adoravit, cioè: La Madonna adora Colui che essa stessa ha generato. Il motto sembra alludere ad uno strano paradosso della nostra fede, in realtà si ricollega al suo mistero fondamentale, al fatto che il Creatore delle cose si è fatto un giorno creatura e che una semplice donna si è trovata davanti, nel proprio figlio, il proprio creatore. Nasce così la sua adorazione, ma anche la sua preghiera per tutti coloro che la riconoscono come madre. Lo sguardo del  Figlio è concentrato tutto su di lei e si crea un rapporto d’amore nel quale le preghiere della Madre trovano compimento. L’immagine così trasmette un messaggio ottimistico ed è eminentemente popolare; sembra fatta per le preghiere degli umili – ricchi o poveri che siano – che hanno necessità di superare il dolore e la sfiducia nelle cose terrene per mezzo di un ponte verso quel Cielo nel quale la speranza diventa realtà vitale. 

All’inizio del 1596 il piccolo culto locale attorno all’icona ebbe un improvviso sviluppo, poiché essa fu al centro di alcuni avvenimenti eccezionali, che la vox populi chiamò senz’altro miracoli, e nella notte tra il 28 e il 29 aprile un trovatello di forse 15 anni, Marchino da Castelnuovo, che era sordo, muto e senza lingua, all’improvviso guarì, gli si sviluppò la lingua e ottenne la conoscenza di tutte le parole e la capacità di pronunciarle. 

Alla notizia di questo e dei tanti prodigi che l’accompagnarono l’emozione fu enorme e l’accorrere di pellegrini da ogni parte convinse della necessità di costruire una nuova chiesa. La prima pietra fu posta il 6 giugno del 1597 e si lavorò su un progetto dell’architetto ferrarese Alessandro Balbo, progetto che però non conosciamo esattamente e che fu profondamente modificato in corso d’opera. I reggiani si impegnarono al massimo: ne fanno fede la robustezza dell’esterno, l’eleganza e la ricchezza dell’interno e le notizie riportate nei tantissimi documenti che rimangono; è emblematico il fatto, ad esempio, che, quando la cupola fu completata, fu giudicata dagli esperti sproporzionata rispetto alle altre parti, per cui fu distrutta e ricostruita da capo. La chiesa fu inaugurata nel 1619; allora erano compiute tutte le strutture murarie e la decorazione interna era in uno stato abbastanza avanzato. Con questo risulta importante rilevare che l’edificio attuale non è la risultante di costruzioni di epoche e di gusti diversi, ma è un’opera organica, concepita e realizzata unitariamente e come tale va riguardata sia sul piano artistico, sia nella sua funzione e nei suoi significati religiosi.

Secondo i termini tecnici moderni la chiesa è a pianta centrale: in sostanza essa è un quadrato coi lati sfondati al centro per contenere le cappelle principali e con quattro grandi pilastri che definiscono quattro cappelle angolari e due navate che si incrociano a croce greca. Tutte le proporzioni sono studiate secondo i principi classici, ma in altezza è accentuato lo slancio verso l’alto, il che dà leggerezza alle strutture e maestà all’insieme. La decorazione interna, realizzata con un grande ciclo pittorico ed una ricca decorazione a stucco che fa da cornice alle singole scene, va innanzitutto considerata assieme alla struttura architettonica, poiché ne dissimula il peso, apre gli spazi, elimina il senso di confine e di chiusura che spesso le muraglie possono assumere. Per realizzarla, furono contattati i principali pittori della Scuola Bolognese, che allora conosceva il suo massimo successo; purtroppo fallirono le trattative con Guido Reni, ma si ottenne dal Guercino la bellissima Crocifissione per l’altare della città e da Lodovico Carracci giunse l’altra pala col Martirio dei Santi Giorgio e Caterina; poi vennero materialmente qui a dipingere le volte Lionello Spada, Alessandro Tiarini, Carlo Bonone, Camillo Gavassetti e Pietro Desani, assieme al reggiano Luca Ferrari e a tanti artisti minori. 

Tutte le pitture furono concepite come un discorso unitario ad esaltazione della Vergine. Inizialmente si era pensato ad un ciclo tradizionale con episodi della sua vita, poi il progetto fu sostituito con un’idea moderna e rivoluzionaria: mostrare come la Vergine sia prefigurata nell’Antico Testamento in tutte le figure femminili che vi hanno rilievo, come essa sia centrale nella vita della Chiesa e come alla fine trionfi come regina dell’universo. Così, partendo dalla volta al di sopra della porta centrale, troviamo Eva, madre degli uomini sul piano fisico, che preannuncia Maria, madre nella fede di tutti i credenti; segue il riquadro con Sara, moglie di Abramo che crede alla promessa di Dio e diventa degna di generare un figlio, e così via, fino alle eroine Ester, Giuditta e Abigail (sulla volta davanti all’immagine miracolosa) che salvarono il loro popolo così come oggi Maria trionfa per noi sul male e sulla perdizione. La funzione di Maria come madre della Chiesa è simboleggiata nella volta delle cappelle minori, che presentano in successione le Sibille (che si credeva avessero profetizzato la nascita di Cristo), i Profeti, gli Apostoli e i Padri della Chiesa. Tutta la serie delle pitture è conclusa  dai dipinti nella cupola con l’Assunzione e nel catino dell’abside con l’Incoronazione di Maria a regina del cielo e della terra.

L’edificio è ancora legato a canoni e valori classici sia nella struttura che nelle pitture, ma è secentesco nel suo significato profondo. Allora trionfava l’Assolutismo, il che vuol dire che non solo sul piano politico, ma anche su quello della cultura e della sensibilità popolare si amava e si esaltava l’autorità, la grandezza, la magnificenza, tanto che anche in campo religioso si voleva contemplare Dio nella sua regalità, nella luce di una gloria che si espande nei secoli. Tanto maggiore appariva il miracolo di Marchino, se sulla sua miseria si era chinata la Regina dell’universo. Allora si coniò lo slogan: “Regium Lepidi Virginis Regia” (Reggio è la reggia della Vergine), che oggi sembra solo un gioco di parole; per quegli uomini invece aveva un contenuto effettivo ed ha dato il tono alla costruzione del tempio, che ha un’armonia, una ricchezza, uno slancio, una solennità veramente regale. 

Tanta bellezza non è fine a se stessa: nasce ed esprime innanzitutto la fede in un Dio, che non è solo potenza creatrice, ma anche santità e amore, e si allarga ai valori umani, simboleggiati innanzitutto nel rapporto tra Madre e Figlio e aperti dalla Madre a tutti gli uomini, visto che ognuno di noi può identificarsi con quel povero trovatello per cui un giorno si mosse la Regina. Paradossalmente si potrebbe affermare che da qui ha tratto ispirazione colui che recentemente ha rilanciato lo slogan: la bellezza ci salverà. (Z. D.)

DOVE SI TROVA LA BASILICA DELLA GHIARA