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VISITA GUIDATA

Durata della visita: 1 ora

Al piano terra del palazzo vescovile si apre il museo diocesano. Luogo affascinante e fino ad ora sconosciuto ai più, raccoglie una ricca testimonianza di storia della Chiesa reggiana fin dall’epoca medievale. Attraverso la raccolta di reperti archeologici ancora splendidamente conservati, è raccontata la storia di una chiesa viva che in tutto il territorio della diocesi ha annunciato l’opera di Dio, favorendo la crescita della fede negli uomini. Il museo mette in evidenza come dalla Cattedrale, centro dell’unità dei fedeli e sede del magistero del Vescovo, si diffonde la fede cristiana nel territorio attraverso le pievi e i monasteri.

All’ingresso, il bellissimo affresco staccato proveniente una chiesa del paese di San Martino in Rio raffigura un crocifisso con le vergini dolenti, opera probabilmente di Jacopino e Bartolomeo da Reggio. Realizzato verso la metà del XIV secolo, la scena raffigura Cristo in croce tra la Vergine e San Giovanni Evangelista. Maria è l’immagine della chiesa che nasce e si alimenta attraverso i sacramenti del battesimo e dell’Eucaristia simboleggiati dall’acqua e sangue scaturiti dal costato di Cristo che un angelo raccoglie in una coppa. La lettura di quest’opera è interessante perché sintetizza il cristianesimo: dalla morte e risurrezione di Cristo, la sua opera continua con Maria attraverso i sacramenti e i vangeli. 

 

Qualche metro più avanti troviamo un altro crocifisso, stavolta in legno di tiglio del ‘400, una delle opere più belle del museo. La figura proviene da una chiesa della bassa collina reggiana e risulta mutila delle mani e di parte dei piedi. La scultura splendida nel modellato del corpo e nelle decorazioni del perizoma, suscita in chi la osserva una profonda pace e commozione nell’espressione del volto. Il dolore della morte non è l’ultima parola: è evidente infatti che le palpebre appena sollevate dicono di una vita dopo la morte: preannunciano già la resurrezione. 

A questo punto si introduce la storia dei monasteri in terra reggiana. Essi sono di fatto lo strumento essenziale per la diffusione del cristianesimo che dopo la resurrezione di Gesù si dipana nella storia. Tra questi centri culturali di fede, il più importante è il monastero di S. ta Maria di Marola costruito per volontà di Matilde di Canossa, forse in seguito ad una vittoria del suo esercito nel 1092. Ai resti dell’antica chiesa, si aggiungono quelli del piccolo monastero costruito vicino al chiostro, del quale rimangono alcuni capitelli recuperati durante un restauro del XX secolo. Due di essi in particolare sono tra i più interessanti: il capitello con aquile e il capitello dei “monaci” (o “dei pellegrini”). Il primo simboleggia la vita degli uomini di fede in riferimento alla frase del profeta Isaia che dice: “Coloro che sperano nel Signore rinnovano le loro forze, mettono ali come aquile”, mentre il secondo capitello si riferisce al servizio di ospitalità che il monastero offriva ai viandanti. 

Un altro reperto molto bello è la Mitra vescovile dell’abate di Marola risalente al XIII secolo. I finissimi ricami che la ricoprono, rappresentano tra l’altro i pampini, richiami alla vite, immagine della Chiesa e il garofano, fiore della passione che rimanda alla Pasqua di Cristo. 

Addentrandosi nella seconda sala spiccano i molti resti delle pievi romaniche del territorio. Dal IX secolo, insieme ai monasteri, il sistema plebano costituisce l’organizzazione religiosa di tutta la diocesi. La pieve era una sorta di “chiesa madre” di una località e di altri “luoghi di culto” minori che nei secoli diventeranno le parrocchie. 

In questa sala troviamo molti capitelli e altri resti architettonici (quasi tutti originali risalenti al XII – XIII secolo) di pregevole fattura, provenienti dalle pievi del territorio collinare reggiano. 

Sempre qui è conservato un manoscritto originale di Matilde di Canossa nel quale la contessa decreta “che nessuno osi maltrattare i beni della Chiesa reggiana o verrà punito con una multa salata”. Il manoscritto autografo non lascia dubbi sulla sua attribuzione e conferma ancora di più l’importanza della figura di Matilde per tutto il territorio emiliano, Dalla sua obbedienza alla Chiesa e a papa Gregorio VII, prese il via la liberazione dalle truppe dell’imperatore Enrico IV e l’inizio dell’evangelizzazione di tutto il territorio emiliano-lombardo.       

La terza sala del museo è la più interessante: qui sono riposti i resti più antichi della Cattedrale, la chiesa madre della diocesi e il centro della fede per il popolo. Questi resti testimoniano la sua storia antichissima che nel corso dei secoli arriva fino a noi oggi. 

Sulla parete di fondo sono presenti i resti dell’affresco della facciata con Cristo Pantocratore in mandorla portato verso il cielo da una teoria di angeli risalente al 1280 circa. Cristo è raffigurato in atteggiamento benedicente che invita al silenzio. Per le persone che passavano dalla piazza questa grande raffigurazione era la presenza concreta di Cristo. La mandorla ha una valenza importantissima: si ottiene dalla sovrapposizione di due cerchi uguali che creano una intersezione a mandorla appunto. I due cerchi corrispondono all’umano e al divino uniti dalla figura di Cristo.

Sul pavimento sono conservati i resti del mosaico del V secolo di età romana posto originariamente sotto la cripta. Quest’opera bellissima come fattura venne eseguita con l’accostamento di tessere molto piccole, raffigurante scene pagane di baccanali o forse di riti dionisiaci circondati da motivi floreali. Evidentemente non si tratta di nulla di sacro, ma solo dell’esaltazione della ricchezza di chi abitò in luogo alla Cattedrale in età romana. Sulla parete a sinistra il modellino ligneo della facciata della Cattedrale eseguito dal Clemente, che ci fa intuire come vedremmo oggi la facciata del Duomo se fosse stata terminata nel ‘500. 

Vicino al modellino troviamo due teche contenenti altrettanti simboli vescovili del XVI secolo: un elmo da parata e uno stocco. Nel ‘500 infatti, il vescovo ricopriva anche la carica civile di “principe”. Nell’iconografia vescovile reggiana perciò, questi due oggetti entrano a far parte del cerimoniale liturgico. L’elmo è finemente decorato a bulino con figure animali e vegetali insieme al simbolo araldico del vescovo Grossi (1549 – 1569). Lo stocco invece, realizzato in acciaio battuto e legno, era il tipo di spada che il papa inviava in omaggio a principi e sovrani distintisi per meriti particolari verso la Chiesa. Già nella concezione cavalleresca medievale, la spada rivestì valenze simboliche cristiane per la sua forma simile ad una croce.       

Del XIII secolo è la lastra antelamica del ‘200 in marmo raffigurante una Majestas Domini (Cristo benedicente in mandorla con i simboli dei 4 evangelisti) perfettamente conservata. Essa presenta tracce di colore sulla sua superficie e ricopriva un lato dell’altare della chiesa nel 1220 circa. Infine un’altra affascinante opera: dai restauri della cripta del 1923 venne scoperto una lastra in marmo rosso raffigurante due Magi. Di questa scultura, ritrovata sul “verso” del monumento funebre di un vescovo, si hanno pochissime notizie: forse la lastra è mutila e probabilmente in origine era collocata all’esterno della Cattedrale.

(G.P.)    

DOVE SI TROVA IL MUSEO DIOCESANO